Il bilinguismo (o plurilinguismo) è la capacità di un parlante di far uso di più di una lingua, una realtà sempre più presente nella nostra quotidianità, dovuto specialmente ai cambiamenti demografici degli ultimi anni. Esistono diverse forme di bilinguismo: il bilinguismo simultaneo, dove il bambino è esposto a due o più lingue sin dalla nascita; il bilinguismo sequenziale precoce, dove l’esposizione a una seconda lingua avviene entro gli 8 anni; infine, il bilinguismo sequenziale tardivo, nel quale l’esposizione avviene dopo gli 8 anni.
L’acquisizione di una seconda lingua prima degli 8 anni si riflette in una migliore competenza nell’uso di tale lingua, sia dal punto di vista fonetico (l’accento tende a essere indistinguibile da un parlante monolingue nativo), sia dal punto di vista morfosintattico (grammaticale). Queste
differenze si riflettono anche in una diversa attivazione di aree cerebrali durante l’esecuzione di prove specifiche, a dimostrazione di un’effettiva differenza di organizzazione nervosa a seconda dell’età di acquisizione.
Inizialmente si credeva che l’acquisizione di una seconda lingua durante la prima infanzia influenzasse in modo negativo lo sviluppo linguistico e cognitivo del bambino, preoccupando sia i genitori che gli insegnanti. Queste idee, tuttavia, appaiono ormai superate, e anzi sembra che il
bilinguismo possa essere un fattore positivo per lo sviluppo cognitivo.
Infatti, nonostante i bambini bilingue possano avere dei vocabolari inizialmente più ridotti rispetto a bambini monolingue della stessa età, essi tendono ad avere un’eguale o addirittura migliore abilità di comprendere le strutture linguistiche (capacità chiamata consapevolezza metafonologica). Inoltre, l’acquisizione di una seconda lingua potrebbe facilitare l’apprendimento della lettura, in special modo se le due lingue condividono lo stesso sistema di scrittura (ad esempio italiano e inglese, a differenza di lingue come italiano e cinese).
Ma i vantaggi che offre l’acquisizione di una seconda lingua in età precoce non si fermano ad aspetti meramente linguistici. I bambini bilingue, infatti, mostrano un certo vantaggio nelle funzioni esecutive, ovvero abilità cognitive complesse di pianificazione, coordinazione e controllo generale.
I piccoli parlanti devono infatti inibire costantemente una o più lingue nel momento in cui non sono utilizzate ed esercitare un controllo costante in modo da non attivare la parola ricercata in una lingua diversa da quella che stanno utilizzando in uno specifico momento, mantenendo
sempre alti i livelli d’attenzione.
Questo si riflette su tempi di risposta più ridotti, inibizione corretta di risposte non adeguate, migliore capacità di apprendere e generalizzare regole e in generale risposte comportamentali più efficienti.
Alcuni studi sembrano anche confermare che parlanti che abbiano utilizzato due o più lingue durante la loro vita, sviluppano i sintomi della malattia di Alzheimer con cinque anni di ritardo rispetto a parlanti monolingue.
Cosa accade quando al bilinguismo si sovrappone un disturbo di linguaggio?
Nonostante gli studi in quest’area siano limitati, essi sono in costante aumento a causa della crescente necessità di comprendere e intervenire su questi bambini. Le correnti evidenze sembrano indicare che i bambini bilingue con disturbo di linguaggio mostrano deficit simili in entrambe le lingue e le loro performance risultano essere comparabili a quelle di soggetti monolingue.
Altri studi hanno inoltre evidenziato che la presenza di un disturbo specifico di linguaggio (DSL) non altera la capacità di un bilingue di mantenere le due lingue separate, evitando intrusioni reciproche da una all’altra lingua. È evidente che la presenza del bilinguismo non è certamente motivo della comparsa di un disturbo di linguaggio e non ne peggiora il quadro
clinico complessivo.
Tuttavia, un parlante bilingue rappresenta certamente un soggetto valutabile con una maggiore complessità e richiede sicuramente una maggior attenzione da parte di genitori, insegnanti e professionisti sanitari.
Dovremmo favorire o scoraggiare l’apprendimento di una lingua straniera?
Gli studi presenti in letteratura dimostrano che l’apprendimento formale di una seconda lingua (ben diverso dall’acquisizione spontanea come nei soggetti bilingue) non peggiora il quadro clinico di bambini con disturbo di linguaggio e non ne impedisce affatto il recupero. È opportuno
che i genitori e gli insegnanti incoraggino l’apprendimento di una lingua straniera anche in questi bambini, magari con strategie didattiche individualizzate per tenere conto delle loro difficoltà specifiche.
Bibliografia:
I. Bialystok, E. “Second-Language Acquisition and Bilingualism at an Early Age and the Impact
on Early Cognitive Development”, Encyclopedia on Early Childhood Development, 2008
II. Fabbro F., Marini. A. “Diagnosi e valutazione dei disturbi del linguaggio in bambini bilingui”, Il
Mulino, 2010
III. Marini A., Urgesi C., Fabbro F. “Clinical neurolinguistics of bilinguism”, Handbook of the
neuropsychology of language, 2012
IV. Marotta, L., Caselli, M.C. “I disturbi del linguaggio”, Erickson, 2014